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martedì 7 agosto 2012

Comunicazione ai fan del 07/08/2012

Qualche novità:

I CASES: Avete presente i capitoli di ogni episodio? D'ora in poi saranno continuativi, cioè basta dire CAPITOLO I- II-III e poi ricominciare daccapo ad un nuovo episodi. Ora i capitoli si chiamano CASE e sono numerati in modo continuativo. Esempio: Episodio 1=CASE 1,2,3; Episodio 2= CASE 4-5-6 e così' via. Questo dà un senso di continuità, appunto, all'opera che è difficile avere
 con i capitoli statici come avevamo fino ad ora.

Ho fatto il conteggio di tutti gli episodi scritti. Ho ultimato da qualche giorno il 70esimo episodio che coincide con la fine della seconda stagione. I CASES sono alla fine 182 tra prima e seconda stagione e non ci fermeremo certo qui! Sto appunto scrivendo il secondo Great Enigma e poi inizierò la terza stagione.

La scelta dei CASES è motivata anche perchè cerchiamo un posto dove cominciare la pubblicazione di AF proprio a CASE. Nel senso pubblicare non il caso intero, ma UNA PARTE dell'episodio arrivando alla fine giorno dopo giorno. Naturalmente le pubblicazioni supereranno l'una a settimana ...

RESTYLING: Non sappiamo se verrà fatta un'opera di restyling per correggere e permettere a tutti di vedere la trasformazione, che sarà comunque effettiva già da sabato con "PAURA DEL ROSSO" , cinquantesimo episodio di AF. Nel caso in cui venga fatto, verrà fatto sa sul blog, sia sul DCF, sia su EW, ma poco a poco perchè è un lavoro davvero estenuante.

PAGE: Se riusciremo ad ottenere più visibilità e maggiori pubblicazioni, è probabile che la pagina si trasferisca, dunque seguiteci sempre e comunque.

Matteo

sabato 4 agosto 2012

Alex Fedele: La parte oscura del teatro #49(seconda stagione)


LA PARTE OSCURA DEL TEATRO

PROLOGO: Un caso giocato sull'intuito, sulla voglia di stupire, sulla facoltà di lasciarsi andare. Perchè a volte l'intelligenza non basta e serve fantasia ... la stessa fantasia che coordinerà i nostri durante un caso nella quale scopriranno ... il buio di un posto bellissimo!


Sigla di oggi: "Ora il mondo è perfetto" by Planet Funk e Giuliano Sangiorgi





CAPITOLO I – Il Novel

Il Novel di Torino è, secondo gli esperti e i vari critici, il teatro più moderno di tutta Italia. Costruito recentemente, la sua vista è a tratti imponente e il suo interno è a dir poco maestoso. L’ingegnere incaricato è stato il signor Giovanni Torta. L’opera di progettazione e costruzione della struttura è durata circa quattro anni e al progetto hanno lavorato ben centoventiquattro addetti tra architetti, operai, e ingegneri».
Maurizio Poscia era un vero appassionato di teatro. Parlava ormai del “Novel” da almeno un’ora e non accennava a segni di stanchezza.
Io, Flavio, Bianca e Fabio ci ritrovavamo lì perché il signor Poscia aveva avuto la gentilezza, e soprattutto la furbizia, di invitarci ad uno dei primi spettacoli organizzati dalla compagnia teatrale per la quale lavorava nel nuovo ed imponente teatro di Torino.
La verità è che era stato molto furbo. Circa un mese prima Flavio aveva lavorato ad un caso nel quale si era scoperto  un adulterio della moglie di Poscia ai danni del marito. Flavio lavorò giorno e notte al caso, facendo lunghi appostamenti e pedinando giorno dopo giorno la donna. Una volta che Poscia si vide recapitare la parcella, inviò all’ufficio investigativo quattro biglietti per assistere al suo spettacolo, giustificandosi come «artista non a contatto col vile denaro». «Infatti» aveva scritto nel biglietto allegato «offenderla con il vile denaro, signor Moggelli, sarebbe stato un fardello insopportabile per chi, come me, è abituato a dare ai soldi un valore esiguo. Per questo» aveva continuato convinto «ho deciso di invitarvi alle prove prima e allo spettacolo poi, che la compagnia teatrale per la quale lavoro sosterrà al teatro “Novel” di Torino. Ci vediamo presto, Suo Maurizio Poscia».
Inutile descrivervi la reazione di Flavio. Si arrabbiò talmente tanto che strappò il bigliettino in pezzi così piccoli che per ricomporlo ci sarebbero voluti dieci eserciti di formiche laboriose.
Quello era il primo giorno delle prove e stavamo visitando il teatro. Era davvero bellissimo, ma l’impressione è che lo sarebbero stati di più i soldi che ci doveva. Grossi balconcini in stile barocco si estendevano a metri e metri di altezza ed una vasta platea color rosso carminio era dipinta davanti al palco centrale.
«Vi presento i membri della compagnia teatrale che sono presenti. Alcuni arriveranno tra poco».
Attraversammo tutta la struttura e arrivammo fin sopra il palco. Bianca si emozionò quando toccò il palco con i piedi. Disse che le sembrava un sogno. Donne.
Era stato furbo Andrea. Aveva preferito stare a casa con Sergio e chissà come se la stava spassando tra i suoi piccoli giochini e la sua beata innocenza.

«Questo è Davide Merelli» disse Maurizio. «Lui è la punta di diamante della compagnia, un lavoratore encomiabile, uno straordinario attore. Avrà un futuro lucente».
«Non esagerare Maurizio. Comunque sono felice di conoscervi» disse un ragazzo di appena vent’anni con capelli castani e con una leggera forma di acne giovanile. Da come avevo capito doveva essere una sorta di grande promessa del teatro.
«E chi esagera? Lo sanno tutti che sei tu il motivo per il quale i critici vengono sempre a vedere i nostri spettacoli» disse entusiasticamente un uomo massiccio, dalla mole imponente e dal fisico sgraziato. Era vestito in modo sportivo e la barba incolta lo faceva assomigliare ad uno di quei protagonisti scalmanati di qualche reality show americano.
«Lui è Fabrizio Fogliersi. Lavora come attrezzista ed è un po’ il veterano del gruppo. Infatti, è l’unico assieme a me ad essere ancora presente nella vecchia formazione teatrale».
«Molto piacere. Ormai il “Gruppo Menecmi” è nel mio cuore, lo sai Maurizio».
«Menecmi?» domandò Flavio.
«Sì» intervenne Fabio «è il titolo di una commedia scritta dall'autore latino Plauto verso la fine del III secolo a.C. Il nome deriva da quello dei due personaggi principali, nonché fratelli gemelli. La commedia, in apparenza movimentatissima, tratta di un evento molto semplice: lo smarrimento e rapimento di Menecmo I e le peripezie che consentono ai due gemelli di incontrarsi per la prima volta e tornare insieme in patria».
«Complimenti per la cultura» apostrofai.
«Grazie mille» disse imbarazzato «ce l’hanno fatta studiare in seconda superiore e allora …».
«E ti è rimasta impressa tutto questo tempo? Dovevi essere un mostro di bravura in italiano».
«Nient’affatto. Il fatto è che la mia professoressa era un mostro … ma di cattiveria e così …».
«Capisco» asserii smorzando un sorriso.
«Già. La sa lunga il ragazzo» disse una voce calda e profonda.
Ci girammo e il nostro sguardo incontrò quello vivido e freddo di un uomo alto quasi quanto Flavio. Aveva l’aria di un intellettuale e portava gli occhialini leggermente abbassati sul naso, come per incutere autorità.
«Nicola! Volevo giusto presentarti … ».
«Non c’è bisogno. Mi presento da solo» affermò sicuro di sé. «Sono Nicola Locella. Faccio l’attore. Molto lieto» continuò in aria distinta.
Riuscimmo a balbettare qualcosa. Poi notai che una delle maniche della sua camicia, la destra per esattezza, era sporca come di carbone.
«Cos’ha fatto alla camicia? Il polsino destro è sporco» gli dissi.
«Oh, devo essermi macchiato prima in bagno».
In bagno? Aveva delle pietre come sapone?
«Nicola è molto intelligente. Prima di fare l’attore era ingegnere».
«Davvero?» domandò Bianca. «E come mai ha deciso di dedicarsi al teatro?».
«Ho semplicemente scoperto che il mio destino era un altro».
Enigmatico, snob e pure filosofo.
«Ciao ragazzi, come state?» fece in tempo a dire una ragazza rotondetta. Nel mentre però, scivolò rovinosamente e rovesciò sul palco un succo di frutta.
«Annamaria! Ti sei fatta male?» disse Davide cercando di aiutarla a rialzarsi.
Completamente opposta la reazione di Nicola. «Che pasticciona che sei! Potevi farti male e inoltre rovinare il teatro!».
«Mi dispiace molto, ma …».
«Ma un corno! Devi stare più attenta! L’attore è prima di tutto un animale da palcoscenico dotato di eleganza!» e così dicendo si allontanò dietro le quinte.
Non potevo dar torto a Nicola, ma nemmeno alla ragazza che chiamavano Annamaria. La zona del palco nel quale cadde era così buia che chiunque sarebbe ruzzolato.
«Scusate per la reazione di Nicola» ci disse Fabrizio. «Lui è fatto così, è uno studioso della disciplina e a volte anche durante le prove è molto duro».
«Oh, capiamo perfettamente» disse Flavio perplesso. In realtà non capiva affatto. Come dargli torto, d’altronde? Mai viste tante storie per una caduta, che idiota.
«Comunque io sono Annamaria Branchione. Sono anche io attrice, anche se non si direbbe» ci disse la ragazza sorridendo.
«Ma dove sono finiti gli altri? Sono in ritardo» commentò l’attrezzista.
«Cominciamo a provare le scene dove compaiono i vostri personaggi, vi va?».

CAPITOLO II – La scena principale

Iniziarono le prove e ci fecero accomodare in platea, in prima fila. Insieme a noi si accomodò Poscia.
«Di che parla lo spettacolo?» domandò Bianca.
«Oh, è una storia molto bella. I protagonisti sono Davide e Annamaria, per questo ho detto loro di provare e riprovare la scena madre. L’opera è ambientata nel millesettecento e parla di un nobile che si innamora di un membro della servitù della sua famiglia. Lei è talmente bella e gentile che conquista il nobile, ma il fratello, di quest’ultimo, che è interpretato da Nicola, è contrario e cerca in tutti i modi di contrastarlo».
«Che storia romantica! Ma l’ha scritta lei?».
«In parte sì. Un’altra parte è stata scritta da mio fratello, ma purtroppo è venuto a mancare tempo fa».
«Oh, mi spiace. Non volevo ricordarle …».
«Non fa niente ragazzina. Godiamoci le prove» e così dicendo sorrise.

«A volte penso che la mia vita sia molto più difficile di quanto pensi» disse Davide. Era talmente calato nel personaggio che, per il pubblico, non essere coinvolto nella recitazione era impossibile.
Eppure io non lo ero. Non so, forse ero l’unico al mondo, ma …
«Hai ragione. Ma è mio fratello il vero problema!» rispose di getto Annamaria.
I due stavano provando la scena madre e Bianca li guardava con occhi sognanti. Potevano appassionare tutti.
Io invece mi rigiravo i pollici. Che noia. Voi non avete idea di quanto sia scocciante stare a guardare qualcosa che non vi piace.
«Già. Quell’uomo è tanto ricco quanto vile!».
«Ma non lo fa apposta. Per lui è intollerabile che …».
E così per altri quindici lunghissimi minuti … ma l’ultima battuta fu questa:
«Sarà solo per te che io vivrò per sempre» di Davide.
Poi le luci si spensero per qualche minuto e noi restammo in silenzio. Il signor Poscia ci fece segno di stare zitti perché altrimenti avremmo rovinato l’enfasi. Purtroppo Flavio russava talmente tanto che al suo confronto una segheria in piena attività faceva lo stesso rumore di una suoneria polifonica regolata al minimo. Era buio e il rumore della chiusura del sipario era stata più forte del solito.
Poi un urlo. Un gridolino leggero soffocato dal dolore e poi l’agonia, l’agonia senza voce, quel tipo di sensazione e quel tipo di rumore che emettono coloro che vorrebbero difendersi almeno gridando aiuto e che invece non ce la fanno.
Le luci si riaccesero e credetemi, non avrei mai voluto che lo facessero. I miei occhi si sbarrarono e si allargarono in un’espressione davvero troppo cruenta per essere descritta. La mia bocca si aprì come per accogliere le mosche e tutto ciò che serviva per esprimere terrore si concentrò in quei pochi secondi nei quali vidi il corpo di Davide Merelli.
Era stato trafitto da parte a parte da un bastone dalla punta acuminata e su quel palco che fino a pochi secondi prima ci era sembrato il posto giusto dove nutrire speranze e sogni perfetti, sgorgava tanto sangue.
Bianca urlò. Fu un urlo talmente acuto da infrangere ogni decibel. Flavio urlò, ma il suo non fu terrore, bensì orrore. Fabio rimase scioccato, ma dentro di lui si combatteva una guerra infinita di sentimenti.

La polizia arrivò circa venti minuti dopo. L’ispettore Arturo Pesca si presentò sul posto.
«Flavio! Anche tu qui?» domandò con la solita aria indisponente mentre si chinava sul corpo.
«Già. Problemi?».
«Nessuno. Certo, non mi dirai che ti sei portato dietro anche quel moccioso … come si chiama? Walter, Gioele …».
«Alex!» disse stizzita Bianca. Poi mi distolse dal mio dialogo con l’attrezzista e mi tirò per un braccio per poi successivamente dire a Pesca «Sì, è qui e non è affatto un moccioso!».
La guardai fisso negli occhi e lei ricambiò lo sguardo.
«Lo dicevo per te, ti stavo difendendo …» riuscì a dire in totale imbarazzo.
Riuscii a farfugliare qualcosa come «grazie» e poi rivolsi le mie attenzioni a Pesca.
«Buonasera ispettore».
«Buonasera ragazzo. Vedo che sei sempre in mezzo …».
«Che ci vuol fare …».
«Bene, vorrà dire che mi occuperò del caso» disse convinto. Poi si rivolse a Poscia, ancora sconvolto per l’accaduto.
«Signor Poscia, vuol spiegarci cosa è successo? Ho saputo che lei è il principale responsabile di questa compagnia».
«Sì» riuscì a dire a fatica. «Io e i miei amici» disse indicandoci «stavamo guardando le prove della scena madre dell’opera … poi quando si sono riaccese le luci …» pareva non riuscire più a continuare, ma un agente della polizia, che fino ad allora non avevo mai visto, decise di intervenire.
« … l’avete trovato trafitto da quel paletto di acciaio».
«Esattamente».
Quell’agente non l’avevo mai visto e probabilmente non ci avevo mai nemmeno parlato. Però c’era qualcosa nei suoi modi di fare, nel suo modo di atteggiarsi, nel suo viso, che non mi era affatto nuovo.
Per fortuna Flavio ebbe l’accortezza di domandare.
«E tu chi sei, giovanotto?».
«Agente Giuliano Billeni, signore».
Flavio guardò Pesca.
«Nuovo elemento» rispose quest’ultimo.
«Ah … ma non ti ho ancora mai visto in giro … siccome vado spesso al commissariato …».
«Sono stato trasferito da Padova signore. Il mio trasferimento risale a circa due settimane fa, ha problemi signore?».
«A-assolutamente no … chiedevo soltanto …».
«Non ci fare caso, Flavio. Non è colpa sua, è proprio di carattere … un po’ scorbutico».
«Dio li fa e poi li accoppia … » sussurrai ridendo.
«Spiritoso. Giuliano è marziale».
E lo era davvero. Gli occhi grigi come l’acciaio ci fissavano e la sua testa, priva di capelli, era imperlata da un velo di sudore. Manteneva un’espressione talmente seria che era difficile pensare ad una sua risata. I baffi lunghi e il leggero pizzo sotto al mento, gli davano un’aria da duro, rafforzata dal fisico scolpito e dalla postura da soldato. Era basso però. Non superava sicuramente il metro e sessantacinque, ma si manteneva comunque in una posizione talmente combattiva che al suo confronto Mohammed Alì sarebbe sembrato un agnellino.
«Mi sembra lampante di come il colpevole sia tra voi quattro» concluse Pesca. «Tutti mi hanno detto che le uniche persone presenti siete voi, più il detective Moggelli e la sua famiglia».
«Non vorrà certo incolparci, non è vero? E su quali basi?» domandò Annamaria.
«Quelle le stabiliranno le indagini» rispose freddamente l’ispettore.
«Be’, Annamaria … le basi per te ci sarebbero» intervenne Fabrizio. L’attrezzista era appoggiato al tavolo da buffet che sporgeva da dietro le quinte e masticava un tramezzino. Come il suo pensiero fosse rivolto al cibo in quel determinato momento, rimaneva un mistero bello e buono.
«C-che cosa?» domandò Flavio incredulo. «Lei sa qualcosa che …».
«So molte cose» disse finendo il tramezzino.
«Per esempio?».
«Per esempio so che la signorina Annamaria aveva sofferto per la decisione di Davide, non è vero?».
La ragazza guardò in basso e cominciò a tremare.
«Sia più chiaro. A cosa si riferisce?».
«Qualche tempo fa erano fidanzati, ma poi Davide l’ha mollata e l’impressione era che Annamaria non l’avesse mai perdonato».
«Dice il vero?» domandò Pesca alla donna «è così?» ribadì dopo una non risposta.
«Sì, è vero. Eravamo fidanzati e lui mi ha lasciata. Ma non avrei mai pensato di commettere un omicidio per questo, figuriamoci!. L’attrezzista è lui, in fondo. Avrebbe potuto organizzare qualche trucco per far sì che Davide fosse trafitto da quel paletto di ferro, no?».
«In effetti …» si lasciò scappare Flavio.
«Non vorrete incolpare me? Io non avevo alcun movente …».
«Ah sì? E la lite della settimana scorsa? Siete arrivati quasi alle mani» affermò Nicola «te la sei già dimenticata? Tuo figlio voleva diventare attore e avevi chiesto a Davide di mettere una buona parola con Maurizio, ma lui aveva rifiutato».
«Sono … sono altri discorsi» rispose Fabrizio visibilmente scosso.
«No invece. Si tratta della stessa cosa».
«E comunque» riprese a parlare agguerrito «non avrei avuto il cervello per commettere quell’omicidio! Suvvia, come avrei potuto organizzare un trucco per far sì che quel paletto si conficcasse nel petto di Davide? Assurdo, no?».
Rimasi a pensare impassibile. Il colpevole si nascondeva sicuramente tra loro, Pesca aveva ragione. Ma chi era? E come aveva fatto?
«Hai capito qualcosa?» mi domandò Bianca.
«Ancora niente … tu hai notato qualcosa di strano?».
«Se l’avessi notato, te l’avrei già detto».
«Già» dissi portandomi una mano al mento.
«Che ne pensi di Maurizio?» mi chiese avvicinandosi.
«Non dire sciocchezze … è sempre stato con noi e non si è mai avvicinato al palco. No, il colpevole è tra loro tre, anche se ancora devo capire …».
Mi interruppi da solo e cominciai a fissare il sipario. Ora ricordavo. Il sipario era stato chiuso, pochi secondi prima dell’omicidio, in modo repentino e violento. Forse la chiave era lì. Dovevo assolutamente salire al piano di sopra per controllare. Mi sarei arrampicato su una trave o cosa, questo non lo so.
Domandai all’attrezzista dove fosse il bagno e lui, fortunatamente, mi disse di usare quello addetto al personale che si trovava dietro le quinte.
 Non appena fui fuori dalla visuale di tutti, mi acquattai al muro e mi trascinai verso la scala di legno che portava al piano di sopra. Arrivai su un pianerottolo polveroso e aprii la porta. Questa diede su uno spiazzale in legno veramente molto ampio, al quale mancava però una parte di pavimentazione. Da quella parte potevo udire i discorsi che si facevano al piano di sotto e si aveva una visuale dall’alto dei protagonisti della vicenda. Gli strumenti per l’apertura e la chiusura del sipario erano proprio accanto alla parte di pavimentazione rotta.
«Qui non c’è niente, dannazione!» mi dissi tra me e me. Avevo passato almeno dieci minuti a controllare tutto il controllabile, ma non avevo notato nulla di strano, con la sensazione di frustrazione che cominciava a farsi sentire. L’unica cosa positiva è che da quella visuale si poteva quantomeno vedere anche la parte di palco che era rimasta sempre oscurata. C’era infatti, un piccolissimo riflettore che faceva luce in quella zona e che poteva quantomeno farti vedere qualcosa in più di ciò che avresti visto al piano di sotto, dove l’oscurità in quella parte del palco più interna, regnava sovrana.

CAPITOLO III – Ombre nere sui faretti del teatro

Mentre stavo andando via inciampai, ma fui contento perché nella mia goffaggine scostai leggermente il riflettore e evidenziai una parte buia di palco del tutto interessante.
A terra c’era un mozzicone di carboncino, e c’erano residui di cenere, come se qualcuno avesse disegnato, scritto qualcosa. Ma cosa poteva essere?
Mi domandavo a cosa servisse per gli attori scrivere a terra sul palco. Poi feci una faccia da idiota e guardai nel vuoto come a sottolineare qualcosa di totalmente illogico e irrazionale. Che errore da parte mia!
Osservai gli anelli del bastone che servivano per manovrare il sipario, poi mi misi ad origliare le conversazioni di Pesca e di Ducato e raccolsi quella che poteva essere una prova schiacciante. Era stato abbandonato un fazzoletto con sopra residui di carbone. Stavo per intervenire per capirci qualcosa in più, ma non potei. Una mano longilinea e delicata mi toccò la nuca facendomi quasi cadere.
«Ma che …» riuscii a dire. Ma voltandomi capii che non c’era nulla da temere.
«Ciao!» mi disse allegra Bianca.
«Bianca! Che cosa fai qui?! Siamo in alto, è pericoloso!».
«E allora? Guarda che ci sei anche tu!».
«Oh mio Dio … è diverso! Senti, prima che tuo padre ci spiumi completamente, vai al piano di sotto e fatti vedere».
«Perché non posso stare qui? Voglio vedere come lavori …».
«Lascia stare come lavoro io! Scendi da qui perché è pericoloso stare su questa parte del piano. Non vedi?» dissi indicandole il vuoto «manca una parte della pavimentazione».
«E allora?».
«Se dovessi cadere?».
«Uffa! Sei peggio di papà, certe volte».
Stava andando via, ma poi frenò e mi disse:
«Qualcosa però hanno scoperto, hai sentito?».
«No … che cosa hanno detto?».
«Be’, Nicola ha detto di aver visto l’assassino».
«Che cosa?!» domandai energicamente alzandomi alla velocità della luce e lasciando la mia postazione d’osservazione. Afferrai Bianca per le spalle e la scossi in modo frenetico.
«Che cosa?!» ripetei agitandola.
«Ehi, sta calmo» mi disse con gli occhi diffidenti. «Comunque» proseguì aggiustandosi la maglietta di cotone che le avevo quasi sgualcito «indossava un giaccone rosso».
«Chi?».
«L’assassino, no? Nicola ha detto che lo ha visto ed ha notato che indossava un giaccone rosso. Basterà cercare un giaccone, fare degli esami e …».
Ma non l’ascoltavo più. Si era praticamente condannato da solo, ormai.  Ed ora ce l’avevo in pugno, povero lui.

«Mi stai ascoltando?».
«Eh? S-sì … come no … Ascolta, io scendo e tu vieni con me. Potresti essere decisiva per questo caso!».
«Io? Ma spiegami almeno come …».
«Non c’è tempo!» le urlai sorridendole e tirandola per il braccio.

Quando ci videro ritornare insieme, la perplessità avvolse tutta l’aria nel giro di almeno un chilometro quadrato.
«Perché siete ritornati insieme?» domandò subito Flavio.
«Ehm … ecco … io dovevo solo …» cominciai a balbettare, ma non riuscivo a proferire parola. Ero imbarazzato, in quanto io, ai fatti, ero fuori per andare in bagno e lei adesso era ritornata con me. Non volevo certo che pensassero ciò che non dovevano pensare.
«Ho cercato io Alex» interruppe Bianca. «Avevo bisogno di una mano per un problema al cellulare e così l’ho cercato dietro le quinte. Era appena uscito dal bagno».
«Eh già …» acconsentii con un sorriso da schiaffi e con il mio viso che pian piano diminuiva il rossore.
«Comunque … lui sa chi è il colpevole» continuò Bianca.
Pesca fece un’espressione sorpresa e al tempo stesso divertita; Flavio sgranò completamente gli occhi e i protagonisti di quella triste storia rimasero impassibili, ma solo apparentemente. Perfino io fui sorpreso dall’annuncio di Bianca.
«Ehi!» esclamai dandole gomito.
«Che c’è?» rispose sussurrandomi.
«Che diavolo ti è saltato in mente? Vuoi farmi prendere un colpo?» chiesi allo stesso modo.
«Perché? Non hai risolto il caso?».
«Sì, ma volevo prendere tempo per … oh, insomma …».
«Davvero hai risolto il caso, ragazzo?» mi disse Pesca avvicinandosi e alitandomi in faccia.
«Gradisce una mentina?» gli chiesi.
«Molto spiritoso, davvero da sbellicarsi».
«No, seriamente. Ne ho di alcune che fanno miracoli contro l’alito e …».
«Sta zitto e rispondi alla domanda!» mi rimproverò Flavio. Si avvicinò anche lui e fece la stessa identica cosa dell’ispettore.
Due alitate in meno di trenta secondi. Dovevo farlo omologare come record mondiale o qualcosa di simile.
«Hai davvero risolto il caso?» mi chiese anche Flavio.
«Ehm … sì …».
«Bene … vuoi dirci come è andata, oppure devo prenderti a calci fino a farti arrivare in Nebraska?».
 Guardai Bianca stranito e lei mi fece un’espressione del tipo “non volevo procurarti guai”.

Chiesi un bicchiere d’acqua per schiarirmi la voce. Avevo un gran mal di gola.  Poi mi sedetti in platea, pronto per lo show.
«E ora perché ti sei seduto lì?» mi chiese Flavio dal palco.
«Solo per comodità, non badate a me. Iniziamo a dire come si sono svolti effettivamente i fatti. La premessa è questa: Il colpevole è tra loro tre. Ho tenuto personalmente d’occhio il signor Poscia per tutto il tempo e questi, è stato sempre accanto a me o al detective Moggelli».
«Confermo» asserì Flavio con faccia scura.
«Innanzitutto, in questa vicenda ci sono delle cose che non quadrano. Non so se chi assisteva alle prove in platea l’ha notato, ma è da dire che al momento dell’abbassamento del sipario, le cose sono andate diversamente da come vanno di solito».
«Uh? In che senso?» domandò Pesca.
«Nel senso che … mettiamola così. Il sipario è stato calato ad una velocità impressionante. Sembrava che l’addetto stesse facendo una gara di velocità. Il mio sospetto è che …».
«Il sipario sia stato utilizzato come arma per compiere il delitto, vero?» chiese Bianca anticipandomi.
Feci un gran respiro e compiacendomi, annuii.
«Mi vuoi dire che è grazie al sipario che l’omicida ha ucciso la vittima? Spiegati meglio».
«Vedi Flavio, sono sicuro che se qualcuno andrà a controllare il bastone che regge la tenda del sipario, troverà qualcosa di interessante. Prima di tutto delle macchie di carbone sul legno e poi sicuramente qualche ferro storto o qualche piccola traccia».
Occorsero pochi minuti per salire a Giuliano Billeni.
«Corrisponde» disse nella sua compostezza.
«Visto?».
«Quindi?».
«Quindi l’omicida ha sicuramente agganciato il bastone di ferro all’apparecchiatura del sipario. Poi, per dare forza, ha calato il sipario a tutta velocità ed ha trafitto la vittima».
«Praticamente stai dicendo che ha usufruito del bastone e successivamente della tenda del sipario per agganciare l’arma e che poi ha usato la velocità per trafiggere la vittima … come una sorta di fionda? Ma come faceva a sapere la posizione esatta della vittima?».
«L’ha calcolata. Agente Billeni, provi a direzionare la luce di quel piccolo riflettore verso la parte scura del palco …».
L’agente eseguì. Poi un’espressione di sorpresa illuminò il suo volto.
«Carboncino … e ci sono scritte … sul palco!».
Pesca corse a controllare.
«Calcoli? Questa è matematica! Che situazione assurda!».
«Il nostro uomo è preciso, pignolo, puntiglioso, logico, razionale … è Nicola Locella, confessi, è lei che ha ucciso Davide Merelli!».
Il signor Nocella scoppiò a ridere come non mai e per un secondo mi sentii idiota.
«Dammi le prove, caricatura di un detective».
«Oh, suvvia. I calcoli da lei fatti sono ingegneristici. Ho visto statistica e qualcosa anche di fisica e lei è un ex ingegnere. Solo lei era capace di fare quelle cose».
«Tutto qui?» domandò Pesca.
«Oh, no … Prima, sul sipario, questo fazzoletto sporco di carboncino. Fatelo analizzare e vediamo quali impronte ci sono sopra. Lei ha fatto quei calcoli ed un’altra prova a suo svantaggio è la signorina Annamaria».
«Che c’entro io, adesso? Non sono sua complice!».
«No di certo. Ma ricorda quando è inciampata? Nicola l’ha rimproverata duramente. L’ha fatto perché lei ha rischiato di far cadere il succo di frutta proprio nella parte dove lui aveva fatto i calcoli! E lui doveva averli ancora per un po’, perché gli sarebbero serviti per colpire bene la vittima! Li avrebbe visti con il piccolo riflettore che ha utilizzato l’agente Billeni e che io stesso ho utilizzato pochi minuti fa!».
«Impressionante …» si lasciò scappare Pesca.
«Ma c’è di più. Il signor Nocella si è tradito».
«Tradito?» chiese Bianca.
«Eppure l’ha fatto in tua presenza. Ha detto di aver visto l’assassino indossare una giacca rossa, non è vero Bianca?».
«S-sì …» disse quasi intimorita.
«Mi spiegate come è possibile? Eravamo completamente al buio ed era impossibile distinguere i colori! Lei ha mentito, è andato nel panico e …».
«Basta così …» sussurrò buttandosi in ginocchio. Passò qualche secondo, poi continuò. «Ero sicuro di farcela … era perfetto …».
«Perché l’ha ucciso?» domandò Flavio.
«Una vecchia storia. Era fidanzato anche con mia sorella. Lui la lasciò per un’altra donna e lei si tolse la vita … dovevo fargliela pagare a quel bastardo maledetto! Non mi pento di ciò che ho fatto!».
Un dramma umano si era consumato, ma la cosa peggiore era avere la consapevolezza che non sarebbe stato l’ultimo. Il cervello umano a volte è incomprensibile.

«Sono stata brava, eh?» mi chiedeva Bianca. Me lo chiedeva da venti minuti, con un sorriso smorzato sulla faccia e con i suoi occhioni castani scuri che cercavano approvazione da parte mia.
«Sì … bravissima …» continuavo a ripeterle poco convinto.
«Potrei diventare la vostra aiutante, che ne dite?».
Flavio ebbe un colpo e sterzò l’auto.
Sobbalzai anch’io.
«Papà! Ma che ti prende?!».
«Ne … ne parleremo … ok?» dissi cercando l’approvazione di Flavio.
«Ne parlerai …» mi rispose scrollandosi di dosso le responsabilità.
«Buona fortuna … fratello!» sussurrò Fabio dandomi di gomito.
E ora? Chi glielo dice che ha avuto solo fortuna nell’ascoltare quella conversazione?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 50: Il rosso è un colore bellissimo, ma a volte può fare paura e diventare il pretesto per un crimine. Il rosso, poi, è anche il colore del fuoco ... e i nostri si scotteranno. ALEX FEDELE EPISODIO 50 - PAURA DEL ROSSO. IMPORTANTE PER LA TRAMA PRINCIPALE! SOLO QUI A PARTIRE DALL'11 AGOSTO 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!!! 

sabato 28 luglio 2012

Alex Fedele: I delitti del fantasma incandescente(3°parte) #48 (seconda stagione)


I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE (3°Parte)


 Cos’è successo nelle prime due parti?

Bianca viene invitata da Barbara in una baita in montagna, ritrovo di alcuni laureandi con la passione per la sceneggiatura e la scrittura.. Il giorno dopo, infatti, avverrà un incontro con un noto scrittore di libri gialli. Decidiamo di unirci anche noi. Durante la serata facciamo la conoscenza di tutti i membri del club, ma durante la notte accadde qualcosa di imprevisto. La mattina dopo ritroviamo il cadavere di Sandro in uno sgabuzzino della baita. Chi è il colpevole? Intanto Katia è sconvolta e ha un’accesa discussione con Barbara. Io e Flavio perlustriamo la stanza della vittima, ma non troviamo niente di rilevante. Intanto Katia, uscita con Bianca, Fabio e Andrea per una passeggiata, viene assalita da un uomo con passamontagna ed un lungo mantello nero. Questi la porta via e poco dopo la ritroviamo cadavere nel boschetto adiacente alla baita. L’assassino non ci da scampo, ma chi sarà?




CAPITOLO IV - Collegamento

«Non possiamo nemmeno chiamare la polizia, vero?» domandò Giuseppe. Era in preda al panico e gli occhi gridavano incredulità e terrore.
«No. Avete preso una baita senza telefoni fissi e i cellulari non prendono in questa zona» rispose Flavio.
«E lei come fa a saperlo?» domandò Veronica. Era stata in silenzio tutto il tempo e aveva passato minuti, ore a piangere senza interruzione. Non le sembrava possibile che tutto ciò stesse accadendo davvero.
«Crede che non abbia già provato a telefonare? Ho provato con tutti i cellulari che avevo a disposizione, ma nessuno ha la linea».
«Siamo fottuti» disse ironicamente Elia.
«Che cos’è questo?» disse Barbara avvicinandosi ad un luccichio. Si chinò a terra e cominciò ad esaminare chissà cosa.
«Barbara, cosa fai? Hai trovato qualcosa?» le domandò Bianca.
«Non so … c’è un pezzetto di carta che brilla qui …».
«Fa’ vedere» le dissi facendola scostare.
«Ehi, che maniere!».
Mi chinai anch’io su quel piccolo pezzo di carta, e al tatto mi accorsi che altro non era che scotch.
«Nastro adesivo fluorescente».
«Cosa?» domandò Flavio.
«Nastro adesivo fluorescente» ripetei alzando lievemente il tono della voce.
«E cosa ci fa lì?».
«Questo vorrei tanto saperlo anch’io. Questo però ci fa capire una cosa …».
«Uh?».
«Il fantasma che diceva di aver visto Katia, probabilmente usava questo stratagemma per sembrare incandescente».
Vidi che i loro volti non erano convinti.
«Pensateci bene … al buio, tranquillizzati dal sonno … può sembrare che questo nastro sia come infuocato».
«Be’, il ragazzo non ha tutti i torti» asserì Laura.
«Cercate di ricordare» disse Flavio rivolgendosi a Fabio «c’è qualcosa che avete notato, magari di sospetto, al momento del rapimento? Una frase, un atteggiamento. Tutto fa brodo».
Il ragazzo ci pensò un po’ su, poi roteò gli occhi al cielo e disse che non aveva notato niente di particolare. Bianca invece ricordava una frase.
«Ha detto più o meno così … » sussurrò tra sé e sé.
«Cioè? Puoi ripetere?» le chiese suo padre.
«”Perché lo fai”?».
Flavio assunse un atteggiamento pensieroso. «Capisco» ultimò.
Beato lui.

Tornammo alla baita e Laura ci preparò dell’ottimo caffè. Era espresso, una cosa leggera. Ricordo che Flavio lo prese corretto, come al solito, mentre io macchiato.
«Fratellone, mi porti in bagno?» mi chiese Andrea. Dovevate vederlo, con i suoi piccoli e frenetici occhietti che mi chiedevano di accompagnarlo.
«Cos’è questa novità? Di solito ci vai sempre da solo».
«E che …» mi fece abbassare alla sua altezza, poi si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò:
«E se incontro il fantasma?».
Lo guardai scioccato. Poi dolcemente lo carezzai. «Non c’è alcun fantasma, vai tranquillo».
«Fratellone, ho paura …».
«E dai Andrea, fa il bravo bambino …».
«Se vuoi ce lo porto io» intervenne Bianca.
«Be’ … ma ci sa andare anche da solo e  …».
«No! Bianca no!» esclamò Andrea. Divenne rosso in viso e le gote gli divennero infuocate.
«Come no?» gli domandai incredulo.
«No! Dai Alex, vieni con me!».
Dopo aver sorriso imbarazzato verso Bianca, sbuffai un po’ e decisi di accompagnarlo. Mentre salivamo le scale gli domandai:
«Si può sapere perché non hai voluto che ti accompagnasse Bianca?».
«Ma lei è una femmina!».
«Tutto qui?».
«Come “tutto qui”?».
«Tutto qui?» ripetei.
«Ma è una femmina!».
«Hai cinque anni … ti vede come un bambino!».
«Ma io sono un bambino!».
«Appunto … perché dovresti …».
«Perché i maschietti vanno al bagno con i maschietti e le femminucce con le femminucce! Te lo sei scordato?».
«Sì, è chiaro, ma Bianca ormai è come una sorella per te. Non ci sarebbe stato niente di male se …».
Non mi fece nemmeno finire di parlare e si infilò nel bagno.
«Fà presto, almeno» gli urlai.
Mentre lo aspettavo continuavo a pensare al caso. L’assassino era stato molto ambiguo. L’unica cosa che avevamo di lui era un pezzetto di nastro adesivo fluorescente e le parole pronunciate da Katia nei suoi confronti. Senza dubbio era una persona molto preparata. Chissà da quanto tempo stava premeditando di compiere quella brutalità.
Notai che la porta della camera di Katia era aperta. Che strano, mi sembrava che Flavio l’avesse chiusa. Entrai e vidi che gli effetti personali della ragazza erano rovesciati a terra. La sua valigia era aperta e sul parquet c’erano deodoranti, profumi, portafoglio, chiavi, tessere bancomat, insomma, tutto ciò che potesse servire in qualche giorno di relax.
Poi vidi una foto rovesciata. Era vecchia, scattata da una Polaroid. La foto ritraeva Giuseppe e Katia, vicini, in atteggiamenti senza dubbio equivoci, ma al contempo lampanti per un punto di vista esterno come il mio.
Ora cominciavo a capire e la cosa diventava sempre più chiara. La fotografia aveva aperto gli spazi per un tipo di deduzione molto precisa. A terra c’era anche il cellulare della ragazza e aprendolo mi accorsi di quanto il caso fosse all’apparenza complicato, ma allo stesso tempo semplice e quasi elementare.
«Fratellone, scendiamo? C’è un caso da risolvere!» mi urlò Andrea.
Uscii dalla stanza e quasi in trance gli dissi: «Sì, è vero, ma è solo questione di tempo … ».

CAPITOLO V – Sbattere in faccia la realtà

«Speriamo si risolva tutto. Ho paura e voglio andare a casa» sentii dire a Laura.
«Tutto questo ha però un animo quasi gotico, non trovate?» disse freddamente Veronica.
«Gotico? Tu sei matta, altro che gotico!» interruppe Giuseppe.
«Che intendi precisamente con il termine “matta”?» gli chiesi.
Mi guardò fisso per un attimo. Poi inarcò leggermente il sopracciglio sinistro e rispose.
«Che … che domande sono?».
«Sono pur sempre domande, no? Rispondi …».
«Non è sana di mente insomma. Non serve un genio per capire che …».
«Quindi» dissi interrompendolo maleducatamente «per te una persona “matta” è un insano di mente, uno psicopatico, un socialmente disadattato, giusto?».
«Non la metterei proprio …».
«Dimmi, per te … un assassino è folle?».
Una piccola lucina gli balenò negli occhi e per un attimo mi parve di aver stabilito con lui un collegamento indissolubile.
«Sicuramente» rispose freddamente.
«Bene. Sapete,» dissi rivolgendomi all’intera stanza «sono accadute molte cose strane ultimamente e … ».
«Sono avvenuti ben due omicidi!» disse Flavio entrando in discorso. «E mentre cerco di ragionare, gradirei che tu stessi zitto!». Mi si era parato davanti e pur tenendo lo sguardo basso riuscii ad intravedere i suoi occhi che mi scrutavano rabbiosi.
«Gradiresti, eh? E se ti dicessi di sapere chi è l’assassino?».
«Cosa?!» esclamò urlando. Balzò all’indietro e mi sentii così tanti occhi addosso da provare imbarazzo.
«Conosci il nome dell’assassino?» domandarono in simultanea Bianca e Fabio. «Ma non è possibile. Hai trovato qualche indizio?» domandò quest’ultimo.
«Già» dissi avvicinandomi alla libreria. Il padrone di quella baita doveva essere molto colto. Avevo notato decine e decine di libri sulla medicina e volumi sui principi della medicina interna, analisi di pagine e pagine sulla psicologia clinica, tomi sulle esigenze anatomiche e quant’altro.
«E quali sono?» chiese ancora Fabio. Sembrava un bambino il giorno di Natale.
«Al tempo. Innanzitutto ricapitoliamo tutto ciò che è accaduto. Prima abbiamo ritrovato il cadavere di Sandro in uno sgabuzzino e poi quello della sua ragazza Katia, in mezzo al boschetto».
«Fin qui è chiaro» disse Veronica. «Nulla di difficile».
«Lieto di sentirtelo dire, perché il difficile arriva proprio adesso. Partiamo dalla prima cosa strana. Nel boschetto abbiamo ritrovato un piccolo pezzetto di nastro adesivo fluorescente» affermai mentre giocherellavo con un soprammobile a forma di elefante.
«Forse voi ignorate» continuai «che questo tipo di nastro adesivo è servito al nostro assassino per poter convincere tutti della sceneggiata del fantasma incandescente. Infatti, il fatto che Katia vedesse l’assassino, era già premeditato da tempo!».
«Cosa? Vuoi dire che l’assassino si è fatto notare apposta dalla vittima?» chiese Flavio.
«Quasi. Il fatto è che in questa situazione … recita un ruolo molto importante l’amore».
«Cosa c’entra adesso l’amore?» chiese Barbara confusa. «Scusami Alex, ma non capisco …».
«Vedete … come posso spiegarlo? L’assassino ha voluto farsi vedere da Katia perché …» mi fermai.
«Perché?» mi incitò Bianca.
«Perché è stata la stessa Katia a chiederglielo!».
«Cosa? Stai vaneggiando! Katia non può aver …» Flavio era fuori di sé e sembrava infervorato.
«Oh sì che ha potuto. Ha potuto eccome. Perché Katia era complice dell’assassino!».
«Katia era … era complice del fantasma?» domandò Elia.
«Ma quale fantasma! Non l’hai ancora capito? L’assassino si è avvolto completamente in un fascio di nastro adesivo fluorescente. Al buio avrebbe brillato e così avrebbe dato l’impressione di una creatura soprannaturale. La cosa bella però è che Katia è stata tradita dal suo stesso complice, finendo così per essere uccisa a sua volta».
«Ma quali prove hai per affermare questo??» mi chiese Bianca.
«Ricordi le parole di Katia?».
«Certo … ».
«Potresti ripeterle, per favore?».
«”Perché lo fai?”» ripeté a bassa voce con lo sguardo nel vuoto. Era come se stesse ragionando.
«Quella frase, in quella determinata circostanza, fa capire che l’assassino è in realtà un conoscente della vittima, altrimenti avrebbe gridato di lasciarla stare, o cose simili. Di conseguenza, è così che ho dedotto che Katia forse conosceva il suo aggressore. Una vittima normale avrebbe gridato, avrebbe implorato aiuto, ma non avrebbe mai urlato a squarciagola quelle parole» dissi forzando la voce.
«Ok, ma è tutto qui?».
«No di certo. L’assassino comunicava quotidianamente con la vittima, gli spediva messaggini e i due erano praticamente amanti. Insomma, l’omicida di Sandro e di Katia, altri non è che Giuseppe! Sei stato tu, confessa!» urlai puntando il dito contro il ragazzo.

Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata. Poi si alzò lievemente dal divano e mi venne incontro. «Devi dimostrarlo, piccoletto».
Ok, non ero un gigante, ma chiamarmi addirittura “piccoletto”, mi sembrava nettamente eccessivo.
«Lo farò. Guarda, non ti conviene continuare a negare. Il nastro adesivo nel quale era avvolto il fantasma è un tipo di scotch che si usa nel mondo del teatro, oppure dello spettacolo. Serve per far capire agli attori quale posizione assumere o in quale posizione del palco fare la propria entrata quando le luci sono già state spente».
«E quindi? Vorresti incolparmi solo perché faccio lo sceneggiatore e sono in contatto diretto con il cinema, o con il teatro? Non ti pare che la tua accusa sia fragilina?» mi chiese arrabbiato.
«Allora spiegami i messaggini sul cellulare della vittima. Spiegami questi!» gli dissi mostrandogli il cellulare.
Poi continuai «Mercoledì. Katia manda un sms a Giuseppe. “Non vedo l’ora di stare con te amore mio. Mi manchi e qui la situazione è molto piatta … A stasera”».
Stava crollando.
«Giovedì mattina, ore cinque e quarantacinque. “La notte che ho passato con te è stata la più bella della mia vita. Grazie per essere solo mio. Tra poco sarò anch’io solo tua. Ti amo”».
Si grattò la fronte, come per simboleggiare stanchezza e frustrazione.
«Venerdì. Ore dieci e venticinque. “Non ce la faccio più. Altro terzo grado. Sbrigati a farmi solo tua”. E poi ancora, c’è n’è un altro di Sabato che …».
«Basta così …» disse lasciandosi andare sulle ginocchia.
«Perché l’hai fatto? Sandro non ti aveva fatto nulla!».
«Sandro era una persona orribile, un mostro. Katia era così delicata, così amorevole. L’amavo troppo».
«L’amavi, eh?» disse Bianca intervenendo. Aveva osservato tutta la scena con gli occhi bassi e adesso questi le si erano riempiti di lacrime.
«No, tu non l’amavi affatto! Una persona che ne ama un’altra non si sognerebbe nemmeno di accostare vicino due sentimenti tanto forti quanto diversi come odio e amore. In realtà, non hai mai amato quella donna! Era solo una bambola con la quale ti divertivi a giocare! E come se non bastasse l’hai anche uccisa! Sei un mostro!» e così dicendo gli tirò un violentissimo schiaffo sulla guancia. Fabio fece un’espressione di stupore, ma temendo in una reazione dell’assassino la ritirò indietro con la forza.
Non avevo mai visto Bianca così arrabbiata, a parte quando suo padre le parlò della verità a proposito di sua madre.
«L’hai uccisa perché non ti voleva più, non è vero?».
«Già» disse con gli occhi bassi. «Si era già innamorata di un altro e una volta compiuto il delitto … ha cominciato a mandarmi sms minatori, minacciando di rivelare tutto alla polizia».
Tutto finì lì, in una breve ma intensa foschia che avvolse quella maledettissima baita. Finì con le lacrime di Bianca, lo stupore di Fabio, la fermezza di Flavio e il mio sguardo severo.
Finì tutto con l’amore e con l’odio, tutto com’era cominciato.


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sabato 21 luglio 2012

Alex Fedele: I delitti del fantasma incandescente(2°parte) #47 (seconda stagione)


I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE (2°Parte)

PROLOGO: Una baita in montagna diventa lo scenario perfetto per una serie di efferati delitti. Ma c'è un problema ... i nostri arrivano a pensare che il  colpevole sia poco niente di meno che ... UN FANTASMA! 

Sigla di oggi: "Who knew" by Pink


Cos’è successo nella prima parte?

Bianca viene invitata da Barbara in una baita in montagna, ritrovo di alcuni laureandi con la passione per la sceneggiatura e la scrittura.. Il giorno dopo, infatti, avverrà un incontro con un noto scrittore di libri gialli. Decidiamo di unirci anche noi. Durante la serata facciamo la conoscenza di tutti i membri del club, ma durante la notte accadde qualcosa di imprevisto. La mattina dopo ritroviamo il cadavere di Sandro in uno sgabuzzino della baita. Chi è il colpevole?



CAPITOLO III – La collaborazione tra nemici

«Amore! No! No!» le urla di Katia rimbombavano tristemente nella baita e elettrizzavano l’aria in una miscela di sentimenti contrastanti tra loro. In quelle urla vi era l’amore, ma anche l’odio, la paura, la tristezza, la rabbia e la frustrazione.
«Sandro …» sussurrò Giuseppe. Era sconvolto e aveva fatto cadere a terra la spatola con la quale aveva cucinato fino ad allora. Il rumore metallico, talmente tante erano le urla e le imprecazioni verso il cielo, non si sentii nemmeno e scivolò in quel silenzio che si viene a creare solamente quando davanti a te c’è una situazione intollerabile, quasi utopistica.
«Com’è potuto succedere? E’ … è orrendo!» si lasciò scappare Laura.
«Forse è stato un incidente» ipotizzò Veronica ancora impaurita.
«Non credo» sussurrò Flavio. «La vittima ha ancora negli occhi l’ultima espressione di paura. La sensazione è che sia stato ucciso da qualcuno».
«Vuol dire che …».
«Esatto. C’è stato un omicidio».

Scesi in cucina, nessuno aveva più voglia di fare colazione. Le frittelle di Giuseppe vennero date in pasto ad alcuni randagi che grattavano alla porta con le loro zampe. Il silenzio la faceva da padrone e a romperlo fu la timida vocina di Andrea che mi avvisava che stava per andare in bagno.
«Che situazione …» sussurrò Giuseppe.
Katia non rispondeva nemmeno. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto e qualcosa mi diceva che non aveva nemmeno  più coscienza di dove si trovasse o di chi fosse.
«Katia … Katia, va tutto bene?» provò a domandarle Veronica. Aveva trovato il corpo, ma dopo un bicchiere d’acqua si era calmata.
«Come diavolo può andare tutto bene? Hai capito in che razza di situazione ci troviamo? Che razza di domande fai?» Laura era insorta in una ramanzina poderosa e adesso era talmente rossa in viso da sembrare parente di un pomodoro.
«Ehi calmati, voleva solo rasserenarla» le rispose Elia.
«Dì la verità, Elia. Sei stato tu, non è vero?». Katia pronunciò le prime parole da quando era successo il fatto. Se n’era stata per mezz’ora ferma e immobile nella stessa posizione, con la stessa espressione sulla faccia, inerme e di ghiaccio.
«Co – cosa? Ma Katia … che dici?».
Finalmente si smosse. Andò diretta verso Elia e lo guardò negli occhi con disprezzo.
«Dillo, su. Sei stato tu ad ammazzarlo, non è vero?».
«Katia, forse non ti senti bene.  Io non avrei mai …».
«Mi fai schifo. Non ti crede nessuno figlio di …».
«Stai calma, sgualdrina!» Barbara si era parata nettamente davanti al fratello e per un attimo le tensioni della sera precedente parvero riapparire in nuovi contesti.
«Sgualdrina? Detto da te è un complimento, baldracca!».
Non penso di aver mai visto una cosa del genere. Il balzo e l’attacco di Barbara fu un tutt’uno e per un attimo pensai di aver visto un fulmine.
«Fermatevi ragazze! Siete impazzite?» urlava Flavio mentre cercava di separare le due ragazze. Era stata messa in atto una vera e proprio rissa.
Vi dico solo che alla fine ci vollero quattro persone per separarle e tutto ciò che di buono era stato precedentemente mostrato, era sparito nel nulla, dissolto nel rancore.

«Comunque non vi ho detto una cosa» continuò Katia ricomponendosi.
«Uh? Che cosa?» domandò Flavio.
«Ieri notte ho faticato a prender sonno e così mi sono messa a sentire la musica dal mio iPod».
«E allora?».
«Mentre guardavo fuori dalla finestra … be’ …».
«Cosa? Cosa? Parla!» la incitai.
«Mi vergogno! Ho visto un ombra muoversi … ma la cosa più strana è che brillava al buio … era quasi incandescente».
«Ma è incredibile … come può essere?» domandò uno sconcertato Fabio.
«Non so come possa essere possibile» replicò la donna quasi infastidita. Poi guardò in basso «l’ho vista e basta».

«Io direi di controllare la camera di Katia» osservai.
«Ma … ragazzino, non sospetterai di me?».
«Sospetto di tutti, non solo di lei» mi limitai a rispondere. Poi mi portai una mano al mento e cominciai a riflettere, ma venni trascinato da Flavio nella camera della ragazza.
Non c’erano apparenti stranezze, tutto era in ordine o quasi. Il letto era ancora disfatto, ma per il resto la stanza conservava un aspetto dignitoso e non c’era alcuna traccia di fantasmi, ectoplasmi o cose del genere.
«Niente da fare» disse sconsolato Flavio.
«Già» mi limitai ad asserire.
«Ti sei fatto qualche idea?».
«Onestamente?».
Annuì con la testa.
«No».
«Accidenti!».
«Voglio dire … non c’è una spiegazione logica fino a questo punto. Lei ha detto di aver visto un’ombra fuori dalla finestra e di averla vista brillare … ma ho controllato personalmente e non c’è niente di sospetto».

«Papà, noi andiamo a fare una passeggiata» ci interruppe Bianca. Affianco a lei c’erano Katia,  ancora visibilmente scossa, Fabio e Andrea.
«Ok, ma …».
« … State attenti» ultimai.
«Che c’è, mi rubi il lavoro?».
Sorrisi e poi dissi: «No, figuriamoci. Mi è venuto d’istinto» e scoppiai in una risata imbarazzata.
Scrutai intensamente i quattro lasciare la stanza e con lo sguardo lì seguii mentre si allontanavano dalla baita. Nei pressi c’era un piccolissimo boschetto, poco profondo e poco grande, nel quale crescevano più o meno rigogliose piante di bacche e fiori poco belli da regalare ad una donna.

«Non essere triste, Katia». Bianca camminava spalla a spalla con la ragazza cercando di consolarla, ma il respiro di questa non accennava a diminuire di intensità. Era affannata, impantanata, poco lucida e aveva uno sguardo spiritato, intenso, quasi spaventoso.
Fabio e Andrea camminavano avanti e parlottavano tra di loro, per quanto un ventenne ed un bambino di cinque anni potessero continuare a farlo.
«Mi allontano un attimo» disse la ragazza.
«Uh? Dove vai?» le domandò Fabio.
«Ho visto un piccolo laghetto artificiale qui vicino. Voglio sciacquarmi il viso, se non vi dispiace».
«No, fa pure, ti aspettiamo, ma sta attenta».
«Tranquillo, torno subito.».
Katia si allontanò, percorse pochi metri nella boscaglia e arrivò nei pressi del laghetto. Si sciacquò il viso e trovò anche il tempo per dissetarsi, ma quando riaprì gli occhi, avrebbe voluto chiuderli per rimuovere la visione che si trovò davanti agli occhi.
«Lasciami! Perché lo fai?!» urlò la donna in preda all’agonia.
Fabio e Bianca accorsero subito, seguiti da Andrea.
«Lasciala, bastardo!» urlò violentemente Fabio. Tentava di essere il punto di riferimento del gruppo. Si avvicinò al losco figuro che aveva intravisto tra i rami secchi e le foglie cadenti a penzoloni, un uomo dall’altezza imponente, avvolto in un mantello nero e con indosso un passamontagna senza buchi per gli occhi. Probabilmente poteva vedere attraverso il tessuto. Fabio scattò in avanti, ma il risultato fu che l’uomo si trascinò Katia e si dileguò nel boschetto senza alcun problema.
«Oh mio Dio!» esclamò Bianca. «E adesso?».
«Andiamo da papà!».

Le urla di Fabio erano assordanti e la sua bocca era dilaniata in un concentrato di fatica, terrore e paura.
«Papà! Alex! Hanno rapito Katia!».
Oltre a noi accorsero tutti gli altri abitanti della baita. Alle urla seguirono versi di stupore, domande di ogni tipo che però vennero stoppate immediatamente da Flavio, il quale cercava di capire in modo più chiaro possibile cosa stesse succedendo. In quei minuti di racconto Fabio raccontò che Katia si era allontanata per pochi secondi e che era stata presumibilmente attaccata dall’assassino di Sandro. Poi lui voleva salvarla, ma non aveva fatto in tempo ad inseguire l’aggressore.

«E’ un bel guaio. Potrebbe mietere una seconda vittima» commentai.
«Hai ragione» disse Flavio guardandomi negli occhi. Poi distolse lo sguardo e scrutò l’orizzonte. «Cerchiamo di trovarla. Il tempo potrebbe non bastare più».
Passammo ore a cercarla in quel boschetto. La fame si faceva sentire e il sudore ci aveva imperlato la fronte talmente tanto che era diventata uno specchio nel quale il sole si rifletteva.
«Non ce la faccio più» era la frase più frequente, ma smise di esserla quando ci accorgemmo che Katia era sotto di noi. Barbara inciampò in qualcosa di pesante e di ingombrante che la fece cadere in ginocchio. Trovammo il corpo di Katia, straziato e dilaniato nel dolore, con profonde ferite alla testa.
Era stata barbaramente uccisa e adesso giaceva tra le mie braccia come la prima delle donzelle che potevano essere salvate. Il fantasma incandescente aveva colpito ancora.

 ANTICIPAZIONE EPISODIO 48: Giù la maschera, omicida! Tutti gli indizi portano ad una sola persona. Il colpevole è ... 
ALEX FEDELE EPISODIO 48 - I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE(3°parte). Solo qui a partire dal 28/07/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!


sabato 14 luglio 2012

Alex Fedele: I delitti del fantasma incandescente(1°parte) #46 (seconda stagione)


I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE(1°Parte)

PROLOGO:  Una baita in montagna diventa lo scenario perfetto per una serie di efferati delitti. Ma c'è un problema. I nostri arrivano a pensare che il colpevole sia niente poco di meno che ... UN FANTASMA!




CAPITOLO I – Festival di buonismo

Un consiglio personale. Se avete figlie femmine, guai a dirle di no. No, no, non ho messo incinta nessuna ragazza e né sono improvvisamente diventato maschilista. Figuriamoci. Solo ho imparato a tradurre in parole i pensieri che passano per la testa di Flavio.
«Papà ci posso andare?» fu la prima frase che Bianca pronunciò non appena mise giù la cornetta del telefono dell’ingresso. Eravamo a cena e mangiavamo hamburger. Alla televisione davano il notiziario di canale dieci e Flavio era talmente concentrato che prima di capire le parole di sua figlia ebbe bisogno di un sorso di vino.
«Cosa?» ripeté.
«Ci posso andare?» si ostinò a ripetere Bianca.
«Ma dove? Di che stai parlando?».
«Dell’invito di Barbara. Dai, papà …».
«Se mi spiegassi almeno di cosa …».
«Ok» disse rizzandosi in piedi colma d’euforia. «Il fratello maggiore di Barbara è uno scrittore dilettante ed è iscritto ad una sorta di casa editrice per lanciare giovani talenti. Ora è insieme alla classe del suo corso in una baita in montagna in ritiro e …».
«E …».
«Barbara sta andando con lui. Ma non ti ho detto la parte più bella!».
«Qual è la parte più bella?» domandò Flavio mentre sorseggiava il vino rosso che gli restava nel bicchiere. Era poco entusiasmato all’idea che la figlia si allontanasse da lui, figuriamoci se avesse dovuto sopportare un suo spostamento in montagna. Mi aspettavo infatti un “no” stereofonico.
«Tra due giorni, in quella baita, andrà la televisione! Realizzeranno un servizio con Gabriele Carrera, il grande autore di romanzi noir!».
«Vuoi dire lo stesso autore che scrive gli sceneggiati per “Ombre di notte”? Il mio telefilm preferito del venerdì sera?».
«Bravo! Proprio lui! Allora papà, posso andare?».
«Da sola?».
«Con Barbara …».
«E chi ci sarebbe in quella baita?».
«Barbara, suo fratello e …».
«E tutti gli altri allievi!» intervenni involontariamente. Non so perché, ma la lingua mi partì da sola. Sembrava esser fuori dal mio controllo.
«E tu cosa c’entri?» mi disse a muso duro Bianca.
«Ci sono anche gli allievi del corso?» domandò Flavio.
«Be’, sì … certo, ma …».
«Non se ne parla nemmeno!».
«Papà! Su, non fare l’antico!».
«Figuriamoci se permetto a mia figlia adolescente di andare in una baita in montagna da sola con chissà quanti ragazzi attorno … Il mio è un no, chiaro?».
In quel momento avrei voluto baciarlo.
«Non faremmo nulla di male!».
«Dicono tutti così …» intervenne Fabio.
«Fatti gli affari tuoi!».
«Bianca» domandò Andrea con la sua vocina «cosa fareste di male?».
La ragazza arrossì completamente. Mi accorsi del suo disagio e così cercai di distrarre Andrea.
«Ma poi quel cartone animato che ti piaceva tanto com’è andato a finire?».
Intanto Flavio e Bianca continuavano a discutere. Bianca lo pregava di fidarsi di lui e Flavio ripeteva che non era una questione di cosa avrebbe fatto lei , ma di cosa avrebbero fatto gli altri.
La questione si placò con una provocazione di Flavio.
«Ok, mettiamola così» disse alzandosi da tavola e raccogliendo la cravatta che aveva messo prima di cena sul divano. «Puoi andare con lei ad una sola condizione».
«Quale?».
«Che ci porti con te … tutti quanti!».
«Eh? Ma sei impazzito? Che figura faccio a portarmi dietro tutta la famiglia?».
«Non credi di esagerare? Sono un tipo … come dite voi giovani per dire che siete trendy?».
«Vedi? La parola “trendy” non è nemmeno più usata nel vocabolario!».
«Insomma, vuoi andare sì o no?».
Bianca tentennò leggermente. «Ok … vado a chiamare Barbara sperando che non mi uccida».
Una volta uscita dalla cucina, Fabio cercò di convincere suo padre a non farlo venire.
«E abbandoni tua sorella nelle mani di quei marpioni? Verrete tutti con me e basta!».
«Alex! Digli qualcosa …».
«Fabio … per stavolta sono d’accordo con lui …».
Una volta allontanatosi anche Flavio, suo figlio mi fece gomito.
«Ci vai perché sei geloso di mia sorella, vero?».
«La vuoi piantare di dire idiozie?».
«Sì, vabbè …».

«Accomodatevi pure. Siate i benvenuti» ci disse aprendo la porta della baita in montagna il fratello di Barbara. Si chiamava Elia ed era talmente muscoloso da poter aprire in due le Rocky Mountains. La maglietta aderente, quasi come una seconda pelle, accentuava ancora di più le sue indubbie doti fisiche e gli assegnava una certa autorità.
Facemmo il nostro ingresso in un salone abbastanza spazioso. La baita era arredata in stile rustico antico, semplice ed accogliente allo stesso tempo. Pur essendo in una zona desolata delle montagne piemontesi, la tecnologia non mancava affatto.
«Chi sono queste persone?» domandò un ragazzo calvo, con in mano una bottiglia di vodka.
«Alcuni amici di mia sorella» rispose timidamente Elia.
«Amici di tua sorella? Ti rendi conto cosa sarebbe successo se ognuno di noi avesse portato qui i propri amici?» gli domandò una donna per la verità molto attraente e seducente. Era in posizioni dubbie con il ragazzo calvo e qualcosa mi diceva che tra i due ci fosse del tenero.
«Dai Katia, non esagerare. Dopotutto sono persone tranquille, vero?» domandò a Flavio.
«Verissimo ma … se disturbiamo ce ne andiamo … non c’è problema».
Bianca gli lanciò un’occhiata così truce che per poco non lo colpì un fulmine.
«Come non detto …» sussurrò spaventato a voce bassa
«Comunque, lui è Sandro e lei la sua ragazza, Katia» continuò a parlare Elia.
Fin da subito ebbi l’impressione che quei due ci avrebbero creato unicamente problemi. Sandro era già sbronzo da chissà quanto. Tentò di alzarsi dal divano e di venirci a salutare, ma sballottò a destra e a sinistra e finì col ricadere su di una poltrona. La ragazza era leggermente più sobria, ma il modo in cui guardava la gente, con evidente sufficienza, la dipingeva come un tipo ribelle, poco affidabile e anche poco elegante. E non solo. Il modo in cui era vestita completava il quadro. Se ne stava in mezzo al salone, sotto gli occhi di noi ragazzi, con un minuscolo top che lasciava intravedere ampie porzioni di un seno generoso donatole da Madre Natura e con un paio di minuscoli pantaloncini di jeans a vita bassa. Se fosse scesa in bikini sarebbe stata meno volgare.
«Elia, non mi presenti i tuoi amici?».
Una volta voltatoci ci ritrovammo di fronte un ragazzo spigliato e dalla faccia simpatica. Aveva i capelli impasticciati di gel e un grembiule da cucina sopra la camicia discretamente elegante che indossava.
«Sì, lei è Bianca, l’amica di Barbara. E questi sono tutti i suoi amici e parenti. Hanno insistito tanto per venire anche loro».
«Papà …» sussurrò Bianca dando di gomito a suo padre.
«Ah sì …» rispose con lo stesso tono quest’ultimo. Poi riprese a parlare «Ehm … sono un grande fan di Carrera e dunque … ci tenevo tantissimo a vederlo di persona!» disse Flavio.
Stava spudoratamente mentendo. La verità è che poco prima, in macchina durante il viaggio, Bianca gli aveva chiesto di non farla passare per la bambina che deve essere accompagnata dal paparino e gli aveva praticamente intimato di raccontare bugie su bugie per giustificare la presenza di tutti noi.
«Fan di Carrera? Allora è il benvenuto!» esclamò il ragazzo con il grembiule. «Io mi chiamo Giuseppe Agello e sono uno studente del corso» disse presentandosi in modo zelante.
«Il nostro Giuseppe è uno degli allievi più talentuosi che questo corso abbia mai avuto» affermò una voce seducente e ombrosa allo stesso tempo. Proveniva da una donna con lunghi capelli rossi e occhiali da intellettuale. Aveva un libro di Carrera in mano,  mi pare si chiamasse “Cronologia”, o qualcosa di simile.
«Non dire così Veronica … mi imbarazzi».
«Ma è la verità! Non fare il modesto» interruppe una ragazza bionda. Era tutto l’opposto di Veronica. Infatti era totalmente acqua e sapone e manteneva sempre lo sguardo basso, indice di una profonda timidezza.
«Laura, ma dove ti eri cacciata?» domandò Elia.
«Ero in camera mia a sistemare le mie cose. Te l’ho detto che ci avrei messo tempo».
«Loro due sono Veronica e Laura e anche loro sono allieve del corso» ci spiegò.
«Giuseppe Agello … aspetta un momento» disse Fabio quasi sconcertato. «Ma tu sei quel ragazzo al quale hanno dedicato quel servizio sul telegiornale ieri sera, giusto?».
«Eh? Che servizio?» domandò Flavio.
«Se n’è parlato molto negli ultimi tempi. Si dice che un promettente sceneggiatore abbia fatto molto parlare di sé grazie ai suoi copioni e alle sue stesure. Il network di canale quattro lo ha addirittura scritturato al posto di un noto autore con esperienza decennale e lui ha accettato con entusiasmo. Sei tu, dunque?».
Giuseppe arrossì. Poi con leggerezza quasi impercettibile annuì.
«Caspita, complimenti!» disse Bianca sorridendo.
«Solo fortuna. Devo lavorare ancora molto per essere al livello dei grandi mostri sacri di questo ambiente».
«Sicuramente, ma devi ammettere che sei sulla giusta strada» osservò Laura.
«Non …».
«Sei bravissimo e …»
«Piantala!» urlò Giuseppe. Il suo urlo aveva zittito tutta la baita e persino l’assurdo disinteresse di Sandro e Katia venne tramutato in attenzione.
«Scusami … volevo solo …».
«Volevi solo adularmi! Ma sai bene che con me non funziona!».

CAPITOLO II – La mano dell’odio

A cena parlammo del più e del meno. L’atmosfera non era propriamente distesa, ma comunque si stava abbastanza bene.
«E quindi Fabio, cosa stai studiando?» domandò il fratello di Barbara.
«Sto dando i primi esami per medicina».
«Cavoli, è roba dura quella, non è vero?».
«Abbastanza».
«Io invece vorrei preso laurearmi in letteratura. Mancano solo quattro esami. Poi farò un corso di scrittura creativa, così diventerò scrittore e …».
«Piantala» lo placò Sandro.
«Cosa?».
«Piantala» ripeté agitando un bicchiere di birra.  Poi aggiunse: «Lo sai bene che con quegli stupidi manoscritti d’amore che scrivi, non riuscirai mai a sfondare».
«Sempre meglio di te. Io non ho bisogno di far morire delle persone per far sì che una storia sia avvincente».
«Far morire delle persone?» domandai incredulo.
«Scrive gialli …» mi rispose con un fil di voce Barbara.
«Andiamo! Non siamo più nel milleottocento. Le storie di candidi amori ormai non vanno più, lo vuoi capire?».
«Io scrivo storie romantiche e mi trovo benissimo».
«Fa come vuoi, ma sarai sempre un fallito».
Barbara aveva osservato la scena in silenzio. Era seduta due posti affianco a me. Avevo alla mia destra Bianca e successivamente proprio lei. Pur non guardandola in viso riuscii a percepire il suo nervosismo per gli attacchi a suo fratello. Arrivò il punto in cui esplose.
«Mio fratello non è affatto un fallito, semmai sei tu che nella vita non hai combinato mai nulla!».
«Barbara, non importa. Sandro è fatto così, lo sai …» cercò di rasserenarla Elia. Intanto Katia, la ragazza di Sandro, era balzata in piedi.
«Sentitela come protegge il suo fratellino. Che cosa c’è? Elia ha perso la lingua? Non sa difendersi da solo?».
«Mio fratello parla quando vuole, non certo per assecondare voi cafoni!»
Anche Bianca invitò Barbara a calmarsi, ma non ne voleva sapere. Era rossa in viso e le parole le uscivano così repentinamente da far impazzire il più veloce dei dattilografi.
«Cafone ci sarai tu, bambina impertinente!».
«Meglio essere bambina che sgualdrina come te!».
Katia si alzò repentinamente dal suo posto e cercò di afferrare Barbara dall’altra parte. Dal canto suo la ragazza non si tirava per niente indietro e cercava di farsi forza per liberarsi dalle trattenute di Bianca. Dopo qualche urlo per niente piacevole, tutto tornò alla normalità. E pensare che lo scopo della riunione della classe era quello di incontrare Carrera. L’avrebbero fatto fuggire, se avessero continuato così.
«Sarà meglio andare a dormire, adesso. Domani sarà una giornata molto faticosa» annunciò Giuseppe. Sembrava il leader del gruppo. Qualcuno protestò vivamente. Erano solo le nove e mezza e nessuno era talmente stanco da crollare subito in mezzo al letto. Per buona educazione non dicemmo nulla, ma fatto sta che alle dieci eravamo coricati già da un bel pezzo.
Prepararono per noi tre camere. Nella prima ci eravamo accomodati io e Fabio. Nella seconda Flavio e Andrea(che aveva detto di voler passare la notte con Flavio in quanto «vero adulto con cui parlare dei veri problemi della vita» … ) e nella terza Bianca con Barbara.

«Ti sei arrabbiata parecchio prima» disse Bianca a Barbara. Le due ragazze non riuscivano a prendere sonno nonostante la radiosveglia segnasse le undici e quarantacinque.
«Non tollero che mio fratello sia trattato così».
«Hai ragione. Che antipatici quei due».
«Elia ha faticato duramente nella sua vita per raggiungere quello che ha sempre sognato. Lotta tuttora per i suoi sogni e non è giusto che due nullafacenti alcolisti gettino fango sul suo lavoro».
«Non so che dirti … hai pienamente ragione».
«Ma basta parlare di me. A te come va?».
«Da che punto di vista?».
«Hai capito, no? Con il detective della stanza affianco».
«Alex? Che c’entra adesso Alex?».
«Dai Bianca. Ci conosciamo da anni. A me puoi dirlo che ti piace».
«Non dire idiozie. E’ … è solo un amico. Non dire sciocchezze».
«Non raccontarmi fandonie, Bianca».
«Ma è così, te lo giuro e …».
«Alt! Non si giura il falso. Credevo lo avessi imparato da piccola» replicò Barbara scucendo un sorriso ironico.
Bianca fece lo stesso e per un attimo i suoi occhi brillarono.
«Vedi? Basta nominarlo e ti brillano gli occhi. Ti sei innamorata, non è vero?».
«Ancora? Dormiamo che è tardi, su».

Non riuscivo a prender sonno. Era quasi mezzanotte e l’impressione era che l’andazzo non sarebbe mutato quella notte. Tenevo gli occhi aperti, spalancati e ogni tanto scambiavo qualche parolina di cortesia con Fabio. Lui aveva qualcosa da fare. Si era portato il quaderno degli appunti di medicina e sottolineava le cose più importanti.
«Come va con Martina?» gli domandai.
«Potrebbe andar meglio».
«Perché?» dissi fingendo di interessarmi alla questione. Qualsiasi cosa pur di rimanere sveglio e di non dormire.
«Non so … a volte sembra totalmente presa da me, mentre certe volte mi fa proprio arrabbiare …».
«C’è un episodio in particolare al quale ti riferisci?».
«Per esempio» disse chiudendo definitivamente il quaderno «quando gli ho detto che sarei dovuto venire qui per accompagnare Bianca … è andata su tutte le furie e ha cominciato a darmi del bambino e così via».
«Sono donne».
«Già. E tu?».
«Io cosa?».
«Con mia sorella, no?».
«Oh mio Dio! Ma vi siete fissati, allora?».
«Cosa vuoi dire?» domandò in aria innocente.
«Mi dite tutti la stessa cosa, ma la volete piantare?».
«Fatti delle domande e datti delle risposte, Alex. Se tutti ti dicono una cosa …».
«Non vuol sempre dire sia quella giusta».
«Che paragone stupido! Qui si parla di sentimenti. A chi vi è fuori è tutto chiaro. Non capisci più niente quando ti ci ritrovi dentro».
«E a te è tutto chiaro … cosa?».
«Tu mangi con gli occhi Bianca e a mia sorella basta incontrare il tuo sguardo per arrossire».
«Che sonno  …».
«Sì, eh? Vabbè … buonanotte Alex».
Nonostante non avessi affatto sonno, la conversazione con Fabio mi giovò ai fini della stanchezza e nel giro di quindici minuti scarsi mi addormentai.
Dormii bene quella notte. La baita era silenziosa e abbastanza quieta e si stava davvero in pace.

La mattina dopo, alle otto in punto, ci alzammo tutti. Ritornammo nel salottino della sera prima e ci sedemmo intorno al tavolo per consumare la colazione. Giuseppe era già ai fornelli e preparava le sue frittelle.
«Sono la mia specialità» ci aveva detto la sera prima. «Domani mattina, vedrete che bella colazione!» aveva aggiunto.
C’eravamo tutti, tranne Sandro, Katia ed Elia.
«Buongiorno» disse Katia scendendo. Nessuno le rispose e la sensazione che non fosse così amata dai suoi compagni si fece sempre più viva.
«Ho detto buongiorno».
Ancora nessuna risposta.
Scese anche Elia e lo salutammo energicamente. Katia storse un po’ il naso, ma alla fine si tolse quel broncio da bambinella e tornò ad essere la ragazza del menefreghismo conosciuta la sera prima.
«Chissà dov’è Sandro …» sussurrò Giuseppe.
«Pensavo fosse già sceso» commentò Katia.
«Perché? Non avete dormito insieme?» gli domandò Elia.
«Certo, ma quando mi sono svegliata non era a letto».
Veronica si alzò un attimo.
«Provo a mandargli un sms e … oh, ho dimenticato il cellulare in camera, torno subito» avvisò. «Giuseppe, non cominciare a mangiare quelle deliziose frittelle senza di me!» disse scherzosamente.
Nel giro di pochi minuti le risa si trasformarono in pianto e Veronica emise un urlo spaventoso.
Subito corremmo tutti al piano di sopra. Flavio si era già lanciato per primo ed io l’avevo seguito a ruota.
«Cos’è successo? Perché hai urlato?» domandò Elia.
La ragazza non rispondeva. Si limitava ad indicare la porta aperta di uno sgabuzzino talmente piccolo che nessuno di noi ci aveva fatto caso. Nessuno di noi avrebbe mai voluto guardarvi. Sandro vi giaceva in una pozza di sangue. La sua fronte era stata sfregiata da un’arma da taglio possente e una parte di cervello era completamente scoperta. Fu uno spettacolo ripugnante e macabro allo stesso tempo.  Le donne gridarono e si allontanarono dalla scena tenendo gli occhi chiusi.
Chi era stato ad uccidere in quel modo così brutale Sandro?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 47: Cominciano i sospetti, ma la verità è che più si va avanti e più ci si accorge che il delitto avrebbe potuto compierlo solo un essere soprannaturale. Alex però è un detective e si sa, non crede a ciò che non si può spiegare! ALEX FEDELE EPISODIO 47 - I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE(2°parte).